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I BAMBINI E IL TERREMOTO Il terremoto avvenuto nel centro Italia ha purtroppo causato numerose vittime anche tra i bambini. Molti altri, fortunatamente, sono sopravvissuti, talvolta estraendoli dalle macerie, come è successo a Giulia, di cui il filmato mostra il salvataggio. I traumi che possono derivare da un'esperienza del genere credo siano chiari ed evidenti a tutti. Ma allora cosa fare? Che comportamenti adottare? E quali spiegazioni dare ai nostri figli più piccoli che vedono in televisione queste immagini? Ci aiuta in questo difficile compito il Collega Massimo Ammaniti, psicoanalista e psicopatologo, del quale riporto di seguito l'intervista rilasciata a corriere.it QUAL E' IL PRIMO GESTO DA COMPIERE, SOPRATTUTTO DA PARTE DEI FAMILIARI, NEI CONFRONTI DEI BAMBINI CHE HANNO SPERIMENTATO IN PRIMA PERSONA IL TERREMOTO? «Il migliore approccio, il più naturale, è la vicinanza fisica. Cioè un abbraccio. I bambini hanno molto bisogno di essere abbracciati, sempre e comunque. Si sentono sostenuti e “contenuti”. Sperando però che i bambini sopravvissuti accettino la vicinanza e l’abbraccio…». PUO' ACCADERE CHE LO RIFIUTINO? «Sì, può accadere. Un bambino che vive una simile tragedia, subisce un’autentica bufera affettiva, un dolore fortissimo. Soprattutto se la permanenza sotto le rovine è stata lunga, il bambino vive la situazione forse più estrema di impotenza e di un terrore al quale non riesce a dare un nome, lontano dai genitori che inevitabilmente non sono con lui, anche se sono ancora vivi. Il terrore senza nome, per un bambino, è una condizione difficile da concettualizzare. Un bambino può affrontare il terrore per una persona, per un oggetto, per una situazione… Non per ciò che non ha nome. In più va calcolato il dolore fisico, che il corpo affronta attivando il cortisolo, il neurormone dello stress». QUALE PUO' ESSERE LA REAZIONE DI UN BIMBO? «Bisogna che i familiari lo sappiano, e anche gli stessi soccorritori. Può reagire accettando l’abbraccio, ed è l’ipotesi più auspicabile. O invece può mostrare una forma di “evitamento” non solo del contatto fisico, ma anche dello sguardo di chi lo ha salvato, delle stesse persone care, un po’ come avviene negli animali feriti che non si lasciano toccare. Lì occorrono attenzione, pazienza, tempo. Lentamente si scioglierà. O addirittura ci sono casi in cui i bambini liberati da una situazione come quella scappano, corrono via. L’importante è comportarsi col bambino salvato in modo rassicurante, attento, ma non intrusivo, lasciando a lui la scelta dei tempi di reazione». SPESSO QUESTI BAMBINI DEVONO AFFRONTARE IL TEMA DELLA MORTE DELLE PERSONE PIU' CARE, COME AD ESEMPIO DEI GENITORI, DELLA SORELLINA MAGGIORE, COM'E' CAPITATO ALLA PICCOLA GIORGIA CHE NON VEDRA' PIU' GIULIA. COME RACCONTARE LA MORTE? «Prima dei cinque anni, un bambino non ha ancora il concetto della morte come scomparsa definitiva e irreparabile di una persona. Nella nostra tradizione, si tende a dire che quella persona “è andata in cielo”, o si è “addormentata”. Un simile approccio porta il bambino a vivere in una specie di attesa, a pensare che la persona possa tornare. Invece è importante dire la verità, naturalmente immaginando tempi e modi adatti all’età e alla condizione, con una giusta gradualità. Quando il bambino si è ripreso e chiede della persona cara, si può cominciare a dirgli che purtroppo sta molto male, che è in cura in ospedale, preparandolo al distacco. Col tempo, quando il bambino apparirà più solido, si potrà dire che la persona non ce l’ha fatta, che purtroppo è morta. E sarà giusto insistere sul fatto che restano, incancellabili, i ricordi, gli avvenimenti condivisi, i gesti, l’amore». DUNQUE NON ACCELERARE NE' FRENARE SUI TEMPI... «Esatto. Bisogna sostenere il bambino, stargli accanto, seguire i suoi tempi, non imporre l’argomento e attendere le domande. L’elaborazione di un lutto è legata a risorse molto diverse e personali, negli adulti come nei bambini. Bisogna mettere nel conto che un bambino sottoposto a uno stress come quello di rimanere sotto le macerie può rifiutarsi di mangiare, smettere di dormire per paura degli incubi, avvertire continui stati d’ansia. O avere dei flashback: sono manifestazioni che possono comparire nei giorni successivi dando al bambino la sensazione di rivivere quel terrore senza nome». QUEL CONSIGLIO DARE A CHI ASSISTE QUEI BAMBINI? «Il rapporto con gli animali è molto importante. Dopo l’11 settembre, al Piers 92, cioè al Molo 92, per i bambini rimasti senza genitori, o comunque traumatizzati dai crolli, venne organizzato un centro con “cani terapisti” addestrati per avere contatti con i bimbi. La Pet Terapy può funzionare benissimo. Toccando un animale addestrato a questo, i bambini si sentono rassicurati, si tranquillizzano». I BAMBINI CHE HANNO SUBITO IL TRAUMA DEL TERREMOTO COME POSSONO DARE UN NOME AL TERRORE IGNOTO DI CUI SI PARLAVA? «Ancora una volta, funziona la verità. È bene esporre l’accaduto con calma, magari armati di matita e foglio, spiegando la dinamica del terremoto e il movimento delle faglie. Un meccanismo del genere rimette in moto le capacità di concettualizzazione del bambino». E' BENE CHE I BAMBINI VEDANO IN TV LE IMMAGINI DEL TERREMOTO? «Direi di no. E suggerisco in generale alla Rai, come servizio pubblico, e alle altre tv di avvertire i genitori che non lascino vedere le immagini più dure ai figli. Una ricerca ha dimostrato che i bambini che avevano seguito a lungo sulle tv locali i particolari della strage alla Columbine High School in Colorado, nel 1999, hanno avuto, otto-nove mesi dopo, sintomi tipicamente post-traumatici: disturbi dell’ansia e insonnia. Occorre massima attenzione». UN ULTIMO SUGGERIMENTO? «Far partecipare, in futuro, soprattutto gli adolescenti alla ricostruzione degli abitati, come avvenne a Kobe, in Giappone». (Fonte corriere.it)    
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I BAMBINI E IL TERREMOTO Il terremoto avvenuto nel centro Italia ha purtroppo causato numerose vittime anche tra i bambini. Molti altri, fortunatamente, sono sopravvissuti, talvolta estraendoli dalle macerie, come è successo a Giulia, di cui il filmato mostra il salvataggio. I traumi che possono derivare da un'esperienza del genere credo siano chiari ed evidenti a tutti. Ma allora cosa fare? Che comportamenti adottare? E quali spiegazioni dare ai nostri figli più piccoli che vedono in televisione queste immagini? Ci aiuta in questo difficile compito il Collega Massimo Ammaniti, psicoanalista e psicopatologo, del quale riporto di seguito l'intervista rilasciata a corriere.it QUAL E' IL PRIMO GESTO DA COMPIERE, SOPRATTUTTO DA PARTE DEI FAMILIARI, NEI CONFRONTI DEI BAMBINI CHE HANNO SPERIMENTATO IN PRIMA PERSONA IL TERREMOTO? «Il migliore approccio, il più naturale, è la vicinanza fisica. Cioè un abbraccio. I bambini hanno molto bisogno di essere abbracciati, sempre e comunque. Si sentono sostenuti e “contenuti”. Sperando però che i bambini sopravvissuti accettino la vicinanza e l’abbraccio…». PUO' ACCADERE CHE LO RIFIUTINO? «Sì, può accadere. Un bambino che vive una simile tragedia, subisce un’autentica bufera affettiva, un dolore fortissimo. Soprattutto se la permanenza sotto le rovine è stata lunga, il bambino vive la situazione forse più estrema di impotenza e di un terrore al quale non riesce a dare un nome, lontano dai genitori che inevitabilmente non sono con lui, anche se sono ancora vivi. Il terrore senza nome, per un bambino, è una condizione difficile da concettualizzare. Un bambino può affrontare il terrore per una persona, per un oggetto, per una situazione… Non per ciò che non ha nome. In più va calcolato il dolore fisico, che il corpo affronta attivando il cortisolo, il neurormone dello stress». QUALE PUO' ESSERE LA REAZIONE DI UN BIMBO? «Bisogna che i familiari lo sappiano, e anche gli stessi soccorritori. Può reagire accettando l’abbraccio, ed è l’ipotesi più auspicabile. O invece può mostrare una forma di “evitamento” non solo del contatto fisico, ma anche dello sguardo di chi lo ha salvato, delle stesse persone care, un po’ come avviene negli animali feriti che non si lasciano toccare. Lì occorrono attenzione, pazienza, tempo. Lentamente si scioglierà. O addirittura ci sono casi in cui i bambini liberati da una situazione come quella scappano, corrono via. L’importante è comportarsi col bambino salvato in modo rassicurante, attento, ma non intrusivo, lasciando a lui la scelta dei tempi di reazione». SPESSO QUESTI BAMBINI DEVONO AFFRONTARE IL TEMA DELLA MORTE DELLE PERSONE PIU' CARE, COME AD ESEMPIO DEI GENITORI, DELLA SORELLINA MAGGIORE, COM'E' CAPITATO ALLA PICCOLA GIORGIA CHE NON VEDRA' PIU' GIULIA. COME RACCONTARE LA MORTE? «Prima dei cinque anni, un bambino non ha ancora il concetto della morte come scomparsa definitiva e irreparabile di una persona. Nella nostra tradizione, si tende a dire che quella persona “è andata in cielo”, o si è “addormentata”. Un simile approccio porta il bambino a vivere in una specie di attesa, a pensare che la persona possa tornare. Invece è importante dire la verità, naturalmente immaginando tempi e modi adatti all’età e alla condizione, con una giusta gradualità. Quando il bambino si è ripreso e chiede della persona cara, si può cominciare a dirgli che purtroppo sta molto male, che è in cura in ospedale, preparandolo al distacco. Col tempo, quando il bambino apparirà più solido, si potrà dire che la persona non ce l’ha fatta, che purtroppo è morta. E sarà giusto insistere sul fatto che restano, incancellabili, i ricordi, gli avvenimenti condivisi, i gesti, l’amore». DUNQUE NON ACCELERARE NE' FRENARE SUI TEMPI... «Esatto. Bisogna sostenere il bambino, stargli accanto, seguire i suoi tempi, non imporre l’argomento e attendere le domande. L’elaborazione di un lutto è legata a risorse molto diverse e personali, negli adulti come nei bambini. Bisogna mettere nel conto che un bambino sottoposto a uno stress come quello di rimanere sotto le macerie può rifiutarsi di mangiare, smettere di dormire per paura degli incubi, avvertire continui stati d’ansia. O avere dei flashback: sono manifestazioni che possono comparire nei giorni successivi dando al bambino la sensazione di rivivere quel terrore senza nome». QUEL CONSIGLIO DARE A CHI ASSISTE QUEI BAMBINI? «Il rapporto con gli animali è molto importante. Dopo l’11 settembre, al Piers 92, cioè al Molo 92, per i bambini rimasti senza genitori, o comunque traumatizzati dai crolli, venne organizzato un centro con “cani terapisti” addestrati per avere contatti con i bimbi. La Pet Terapy può funzionare benissimo. Toccando un animale addestrato a questo, i bambini si sentono rassicurati, si tranquillizzano». I BAMBINI CHE HANNO SUBITO IL TRAUMA DEL TERREMOTO COME POSSONO DARE UN NOME AL TERRORE IGNOTO DI CUI SI PARLAVA? «Ancora una volta, funziona la verità. È bene esporre l’accaduto con calma, magari armati di matita e foglio, spiegando la dinamica del terremoto e il movimento delle faglie. Un meccanismo del genere rimette in moto le capacità di concettualizzazione del bambino». E' BENE CHE I BAMBINI VEDANO IN TV LE IMMAGINI DEL TERREMOTO? «Direi di no. E suggerisco in generale alla Rai, come servizio pubblico, e alle altre tv di avvertire i genitori che non lascino vedere le immagini più dure ai figli. Una ricerca ha dimostrato che i bambini che avevano seguito a lungo sulle tv locali i particolari della strage alla Columbine High School in Colorado, nel 1999, hanno avuto, otto-nove mesi dopo, sintomi tipicamente post- traumatici: disturbi dell’ansia e insonnia. Occorre massima attenzione». UN ULTIMO SUGGERIMENTO? «Far partecipare, in futuro, soprattutto gli adolescenti alla ricostruzione degli abitati, come avvenne a Kobe, in Giappone».    
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